Omelia del Parroco nella Solennità di San Camillo de Lellis – 14 Luglio 2020
In queste sere p. Nicola, che ringraziamo per averci accompagnato con le sue riflessioni alla Solennità di oggi, ci ha delineato la figura di un Camillo prima e un Camillo dopo, e cioè un Camillo prima sordo alla voce di Dio e poi ci ha raccontato di un Camillo così attento alla voce di Dio e alla Sua Parola, tanto da incarnarla nel sua vita per farne un’instancabile sinfonia di servizio ai sofferenti. Dalla sua prodigiosa nascita alla sua conversione, dal servizio completo all’ammalato al suo testamento spirituale di carità. Ed è proprio su questa carità che dobbiamo porre l’accento se vogliamo comprendere meglio S. Camillo. Ma da dove l’attingeva questa carità, dai libri di teologia? Da qualche corso di specializzazione? No la attingeva dalla Sacra Scrittura. Chissà quante volte si sarà imbattuto, per esempio, nella Prima Lettera di S. Giovanni apostolo e si sarà soffermato su quella frase: “Dio è amore” – DEUS CARITAS EST! Benedetto XVI ne ha scritto una intera enciclica: “Deus Caritas est”. Ad un certo punto il Papa si chiede: “Ma è veramente possibile amare Dio pur non vedendolo?” Per rispondere a questa domanda S. Giovanni prosegue dicendo, Se uno dicesse: <“Io amo Dio” e odiasse il suo fratello, è un mentitore”. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”> (1 Gv 4, 20). Ed è qui ben sottolineato il collegamento inscindibile tra amore di Dio e amore del prossimo, perché affermare di amare Dio diventa una menzogna, se l’uomo si chiude al prossimo e continua la sua esistenza con qualche atto di pseudo-carità gettando solo la monetina… Ciò significa che l’amore per il prossimo è una strada per incontrare Dio e che il chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi di fronte a Dio che non è così totalmente invisibile.. Giovanni ci dice che Dio ci ha amati per primo e che questo amore è apparso in mezzo a noi, Verbum factum est (Gv 1, 14). E’ in Gesù che noi possiamo vedere il Padre. Egli per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo. Un amore che non è mai concluso e completato – dice Benedetto nella sua enciclica; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso. Se il contatto con Dio manca del tutto nella mia vita, posso vedere nell’altro sempre soltanto l’altro e non riesco a riconoscere in lui l’immagine divina. Se Camillo riusciva a vedere nell’ammalato, nel sofferente Gesù stesso, tanto da considerarlo “Suo signore e padrone”, è perché era innanzitutto pervaso da questo amore: l’assistenza, la cura ai malati, non rappresentavano il fine, ma la strada, il mezzo che conduce al Padre, il filo che lo unisce a Dio con tutte le sue forze, con tutta la sua anima. Se però nella mia vita tralascio completamente l’attenzione per l’altro, volendo essere solo pio e mani giunte, allora il mio rapporto con Dio si inaridisce. Camillo aveva ben compreso l’inscindibile rapporto tra amore di Dio e amore del prossimo, che era solito dire: “Non amo la preghiera che taglia le braccia alla carità”! Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli ama. I Santi, e così anche il nostro San Camillo, hanno attinto la loro capacità di amare il prossimo, in modo sempre nuovo, dal loro incontro con il Signore e questo incontro è diventato autentico proprio nel servizio agli altri. Ora, per essere in ascolto della parola del deuteronomio della prima lettura, Tu Israele, Tu comunità parrocchiale, tu religioso e sacerdote, tu individuo, che cosa ti chiede il Signore tuo Dio, se non che tu tema il Signore tuo Dio, che tu cammini per tutte le sue vie, che tu l’ami e serva il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima, che tu osservi i comandi del Signore e le sue leggi, che oggi ti do per il tuo bene? (Dt 10, 12-13, 17-19). Che lo spirito di S. Camillo ci aiuti a coniugare sempre con attenzione, stupore, “timore e tremore”, tenerezza e carità; che dalla ragione possano attraversare come fiume in piena il cuore e di lì, finalmente, essere prolungamento delle mani di Dio che toccano, si sporcano, guariscono le ferite di ogni uomo e le membra sofferenti, immagine del Cristo sofferente che sulla croce continua a gridare: “Ho sete!” (Gv 19, 28). P. Sergio